Mercati a picco, Borse sotto shock, Sterlina debole, effetti domino sulle esportazioni, rischi per il turismo: tutte le conseguenze sull'Italia nel dopo Brexit.
Il problema più immediato è di ordine finanziario con le Borse che
crollano, ma nel medio periodo bisognerà fare i conti con le altre conseguenze
della Brexit, che per le imprese italiane si
riflettono in primis sull’Export e sulle strategie di aziende
condelocalizzazioni in Gran Bretagna. In vista, sostanziali
cambiamenti anche per gli Italianiche lavorano oltre Manica, i
quali perdono i vantaggi riservati ai cittadini comunitari. Ma tutto
questo si risolverà nel tempo con normative e trattati ad hoc, nel frattempo
tutti possono stare tranquilli.
Al di là al terremoto politico con le dimissioni di Cameron, lo scossone vero
al momento è quello finanziario. Se le Borse crollano, la
Sterlina precipita: Piazza Affari ha fatto fatica ad aprire, i
titoli del paniere principale, il FTSE Mib, hanno avuto difficoltà a fare
prezzo. Apertura a -11% (difficile trovare un precedente), tutti gli indici
europei lasciano sul terreno almeno il 5-6%. Titoli finanziari in
caduta libera, a Milano le banche lasciano sul terreno quasi il 20%.
Spettro crisi
Dunque, il primo vero impatto della Brexit riguarda i mercati e
sarebbe un errore sottovalutarlo: ma davvero si rischierebbe unanuova crisi
finanziaria, paragonabile a quella seguita al crollo di Lehman
Brothers? E’ questa la domanda che preoccupa tutti.
L’Europa da qualche anno è impegnata in un’opera di rafforzamento del sistema
bancario, che metta gli istituti finanziari nelle condizioni di resistere
agli shock. Gli effetti Brexit sul sistema finanziario europeo
si vedranno nei prossimi giorni: il settore riuscirà a
sollevarsi? C’è il rischio di una nuova crisi mondiale? La vera domanda è
questa e riguarda l’effetto sistemico della Brexit. In gioco, c’è
la sopravvivenza dell’Europa (anche della moneta unica?).
Delocalizzaione
Nel frattempo, si fa i conti con le questioni che si aprono nell’immediato.
Il problema numero uno per le imprese è certamente rappresentato dalla Sterlina.
Per chi ha filiali in Gran Bretagna, o comunque lavora in
sterline, significa pagare di più le materie prime.
Esportazioni
Ma per tutte le imprese che esportano in Euro, significa uno svantaggio
competitivo, in primo luogo sul fronte delle esportazioni in
Gran Bretagna, in secondo luogo sui mercati internazionali rispetto alla
concorrenza britannica. Uno studio Nomisma segnala che per l’Italia:
«il Regno Unito pesa
per il 5,4% dell’Export, quasi tutto è composto da prodotti delmanifatturiero.
Considerando i singoli comparti, si va dal minimo di 0,2% del tabacco al
massimo del 13% delle bevande e del 10% dei mobili». Secondo S&P l’Italia è
comunque fra i paesi europei meno esposti alla Brexit (al 19esimo posto su una
classifica di 20 paesi).
Tornando all’analisi Nomisma, la regione italiana più esposta è la Basilicata,
che esporta in Gran Bretagna il 16% del totale, a causa soprattutto della Jeep
Renegade prodotta negli stabilimenti di Melfi. Seguono il manifatturiero dell’Abruzzo (10,6%
di esportazioni verso la Gran Bretagna, per €778 mln) e l’agricoltura e pesca
della Campania (12,6% e €55 mln).
Turismo
Non si escludono ripercussioni
sul fronte del turismo: la Gran Bretagna è il quarto mercato di
provenienza in Italia, con 3,1 milioni di arrivi e 11,9 milioni di presenze; i
turisti britannici sono gli Europei che spendono di più in termini di spesa
giornaliera pro-capite (123 euro al giorno). Bisognerà dunque vedere quali
saranno gli effetti della Brexit sia sui loro arrivi sia sul loro potere
d’acquisto