FAGGELLA, Gabriele.
- Nacque a San Fele (Potenza) il 28 ag. 1856 da Gabriele e Alfonsa Marraffino
in un gruppo familiare che sarà ricco di personalità considerevoli: dei
fratelli Donato e Manlio, entrambi più giovani del F., il primo, anch'egli
magistrato, sarà senatore dal 1929, mentre il secondo seguirà la carriera
accademica come grecista.
Il F. si laureò in
giurisprudenza all'università di Napoli nel 1879 ed esercitò per qualche anno
come avvocato a Potenza. La temperie dell'ateneo napoletano lo permeò
profondamente, avvicinandolo una volta per sempre alla pandettistica, a quella
cultura giuridica tedesca della quale il F. sarà sempre attento osservatore e
al diritto romano, che gli farà da costante punto di riferimento nella
riflessione: la seconda edizione della più nota fra le sue opere, I
periodi precontrattuali e la responsabilità precontrattuale (Roma
1918), sarà infatti dedicata a Carlo Fadda.
Nell'89 il F. superò
brillantemente gli esami da pretore, senza però prendere servizio a causa di
vicende familiari. Tre anni dopo entrò come giudice presso il tribunale di
Roma, dove rimase fino al 1899.
Negli anni trascorsi al
tribunale di Roma il F. redasse un gran numero di sentenze di rilievo, in gran
parte pubblicate sulle riviste Temi romana e Giurisprudenza
italiana. In particolare il tenore di una fra queste indica la salda
adesione del F. ai principi dell'Italia liberale: quella del 22 giugno 1898 in
causa Merino c. Flores, relativa alla competenza a conoscere da parte del
tribunale civile italiano materie attribuite da ordinamento straniero ad altre
autorità giurisdizionali, nella fattispecie il tribunale ecclesiastico
relativamente a una controversia di separazione personale fra coniugi di
cittadinanza spagnola. La sentenza opta per la piena competenza del tribunale
civile italiano, ai sensi dell'art. 6 disposizioni prel. del Cod. civ.,
in considerazione "della inesistenza del giudice speciale a cui la legge
straniera devolve la questione di separazione personale", non avendo
l'autorità ecclesiastica in Italia "altra sfera d'influenza che
spirituale": per quanto concerne materie di stato civile, "qualunque
sia la iurisdictio straniera competente, in Italia, essendo
controversie di diritto civile, non possono essere deferite che alla
giurisdizione civile ordinaria" pure tenuta all'applicazione di normativa
straniera (La Legge, I [1898], pp. 198 s.).
La prima caratteristica
della riflessione del F. è la consapevolezza di non poter separare la carriera,
la coscienza e la posizione del magistrato da quella del giurista, pure
appartenendo a una cultura giuridica che sottolinea con forza il profilo
accademico e dottrinale: sin dalle prime indicazioni intorno alle sedi
preferite egli fa sostanzialmente notare che, ferma la sua disponibilità alle
esigenze ministeriali, i suoi voti si indirizzano ai posti dove possa
proseguire l'attività scientifica in ambiente favorevole agli studi, pertanto
al meglio sedi universitarie; e la sua vasta produzione scientifica verrà
costantemente richiamata a fondamento delle sue eccellenti note di merito. Nel
1899, in un articolo apparso sul settimanale La Toga, il F. metteva
in risalto il legame fra le due attività e prospettive, sostenendo "dover
essere uno solo il criterio atto a dare la misura del merito di ciascun
magistrato: l'esame obbiettivo del valore delle sentenze o di altri lavori
giuridici, dall'esclusivo punto di vista scientifico" (Del modo di
mantenere alto il prestigio della magistratura in Italia, II, in La
Toga, 22, 11 giugno 1899, p. 1).
La biografia del F.
attraversa l'intero tragitto della monarchia unitaria, anche se la sua maturità
scientifica si svilupperà dall'età giolittiana ai primi vent'anni del nostro
secolo. I primi anni romani furono già assai produttivi, e ne emersero a tutto
tondo le principali caratteristiche della sua opera di giurista: sono gli anni
in cui la civilistica tedesca, penetrata in Italia a livello accademico, era
oggetto di diffusione e interpretazione a livello di cultura giuridica pratica
e forense. È del '97 la traduzione del codice civile tedesco (Bürgeliches
Gesetzbuch indi: BGB) da parte dell'avvocato torinese
Ludovico Eusebio, cui nel 1898 il F. faceva esplicito riferimento nel suo I
principii direttivi comparati del Codice civile per l'Impero germanico (La
Legge, II [1898], pp. 247-252, 283-288, 320-324).
Il BGB per
il F. è "il lavoro legislativo più importante" del secolo XIX,
eccelle sugli altri codici, e "segna un progresso non piccolo nel campo
legislativo, degno di imitazione e di esempio agli altri popoli civili" è
caratterizzato dal forte riferimento organizzativo al "sistema romanistico
della trattazione del diritto che prevale negli studi moderni", pur
discostandosene per molti versi, e in questo trova ragione la sua superiorità
sulle legislazioni di modello francese. Del pari, nella sua esposizione il F.
intende seguire "il metodo puramente scientifico dei romanisti e dei
civilisti moderni" (ibid., pp. 247 s.).
Particolarmente
significativa la posizione del F. in merito alla normativa sulle persone
giuridiche: egli si mostra incline a ritenere la personalità preesistente al
riconoscimento, seguendo così la posizione sostenuta da C. Fadda e P. E. Bensa,
che nelle note al Diritto delle pandette di B. Windscheid
parlano, a proposito della posizione dei centri d'interesse nel nostro
ordinamento, di "stato di fatto" preesistente al riconoscimento
statale (B. Windscheid, Diritto delle pandette, Torino 1902, p.
815).
Il F. reputava tuttavia che
la normativa tedesca avesse dato corpo a "gravi disposizioni", lesive
di un corretto svolgimento della libertà d'associazione: anzitutto nel
contemplare la soppressione della capacità giuridica di un'associazione quando
la sua attività leda l'interesse pubblico (§ 43 BGB), per il
tramite di un testo particolarmente generico sulle condizioni dell'intervento
d'autorità; poi nel prevedere (§ 43 2° capoverso) la revoca della capacità per
quelle associazioni che si indirizzino a scopi religiosi o politici ad esse
originariamente estranei, poiché "tutto ciò è rimesso all'arbitrio
dell'autorità", e sin troppo facile può rivelarsi il rinvenire fra gli
atti d'una qualsiasi associazione "un carattere qualsiasi o politico o
sociale o religioso". Per il F. "questo diritto supremo, una specie
di ius vitae et necis, sulle associazioni" è troppo esteso,
"atto a permettere arbitrii e violente oppressioni a scopo politico, tanto
più che l'esame delle illegalità e della contrarietà agli scopi statutari è
sottratto all'autorità giudiziaria" (I principii direttivi, cit.,
pp. 283 s.).
Va notato che il richiamo
del F. ad un'intima preesistenza della vita giuridica della persona collettiva
al riconoscimento statale, pur manifestando una prospettiva per così dire
liberale o se si preferisce garantista della posizione dell'ente, appare più
significativo se inquadrato in un discorso sulle fonti proteso a metterne in
risalto il momento prestatuale e la vigenza di fonti non scritte nel sistema
normativo. In questo, le riflessioni del F. sembrano aver assimilato
profondamente gli sviluppi della cultura giuridica italiana di quegli anni, che
proprio sulla relazione tra momento pregiuridico e ordinamento positivo affrontano
il mutamento civile e fondano i propri sistemi teorici. Da C. Fadda a G. Giorgi
e a F. Ferrara, da V. Miceli a S. Romano, questione delle fonti e questione
delle persone giuridiche e dei centri d'interesse collettivo scandiscono le
riflessioni della cultura giuridica, dalla teoria generale sul metodo, al
diritto civile, costituzionale, amministrativo (cui pure s'interessò il F.: si
pensi al suo La legislazione bellica in relazione al diritto pubblico
preesistente ed alle future riforme, in Riv. di diritto
pubblico, X [1918], I, pp. 345-396, saggio particolarmente attento alla
fisionomia delle persone giuridiche pubbliche).
Nel 1901 il F., classificato
promuovibile a grado superiore, fu nominato vicepresidente del tribunale di
Milano; nel 1902 consigliere presso la corte d'appello di Messina, dove la
situazione politica richiedeva magistrati che riscuotessero la piena fiducia
del governo. Un anno dopo venne trasferito alla corte d'appello di Napoli, dove
dal dicembre del 1907 fu presidente del tribunale. Nel 1909 tentò la
competizione elettorale nel collegio di Muro Lucano, ma senza esito, e forse
senza eccessivo impegno, avendo egli richiesto per la campagna un permesso di
soli dieci giorni.
Sono gli anni in cui vide la
luce quella che fra le monografie del F. conoscerà maggior diffusione, dedicata
alle responsabilità precontrattuali (Dei periodi precontrattuali e della
loro esatta costruzione scientifica, Napoli 1906; la monografia ebbe una
seconda edizione, Roma 1918). La prossimità del F. alle prospettive della
pandettistica, che emerge pienamente in quella che è forse la maggiore delle
sue opere, non lo allontana però da una riflessione sulla problematica delle
fonti, che anzi sembra caratterizzare sempre più i suoi scritti.
Di particolare interesse a
questo proposito è un saggio del 1909 (Fondamento giuridico della
responsabilità in tema di trattative contrattuali, in Arch. giur. Filippo
Serafini, LXXXII [1909], pp. 128-150) che poi sarà sostanzialmente incluso
nella seconda edizione della monografia sui periodi precontrattuali (Dei
periodi precontrattuali e della loro esatta costruzione scientifica, Roma
1918, pp. 86-116), in occasione del lavoro dedicato nel 1908 da R. Saleilles
sulla Revue trimestrelle de droit civil alla monografia del
1906: le stesse ragioni che muovono il F. ad interessarsi alla materia delle
responsabilità precontrattuali e ad aderire all'ipotesi d'una loro piena
esistenza - gli interessi economici e commerciali di frequente lesi
dall'incerta disciplina delle trattative preparatorie del contratto (Fondamento
giuridico, cit., p. 129) - mostrano con estrema chiarezza il suo
temperamento scientifico, incline a temperare l'animo del giurista con
l'esperienza del magistrato e viceversa.
Il breve saggio del 1909,
nel suo complesso, si rivela nella sua interezza concentrato su questioni di
teoria delle fonti. Anzitutto, in assenza di punti di riferimento precisi, il
F. afferma di avere elaborato le sue riflessioni in materia di responsabilità
precontrattuali a partire dai principi generali del diritto. Ma il suo intento
è sfuggire a un uso arbitrario degli strumenti della buona fede e soprattutto
dell'aequitas: questa infatti è nozione relativa e variabile, il che è
confortato dall'indeterminatezza che aveva caratterizzato il concetto di aequitas
adoperato dal legislatore. Per il F., al contrario, la nozione
di aequitas è riformulabile secondo criteri più fermi, così da
poter guidare il lavoro dell'interprete: essa "non è livellazione ... ma
proporzionalità ... eguaglianza proporzionale di trattamento giuridico è l'aequitas nella
sua essenza e nella sua idealità", e in quanto "proporzionalità"
racchiude il concetto di "relatività".
Lo sguardo al diritto romano
come fondamento dei principi generali, "non come legislazione
sussidiariamente in vigore, ma come elemento suppletivo, in quanto abbia
informato i principali istituti di diritto privato moderno nelle connessioni
fondamentali"; il ruolo di adattamento degli istituti "al progressivo
svolgimento delle scienze giuridiche" attribuito all'interpretazione
scientifica; la base "storica" e "giuridica" della
questione dei principi generali; il riferimento al "diritto storico"
questi, per il F., i lineamenti di una corretta teoria dei principi generali.
Principi che - di fronte "alla realtà e alla grandezza del movimento
economico, sociale e giuridico del mondo moderno" -arrivano a modificarsi
affievolendosi e vedendone sopraggiungere di nuovi. Il F. li classifica in tre
gruppi: uno è a fondamento dell'ordinamento giuridico particolare, un secondo è
relativo ad ogni ordinamento positivo e riguarda "la natura umana"
medesima, un terzo raggruppa quei principi che "presiedono al movimento
economico e sociale dei rapporti e delle attività collettive e
individuali", tendendo a valicare i confini politici con l'espandersi dei
mercati: tanto che "nel movimento capitalistico e industriale i principi
generali sono conformi alla natura dei rapporti e degli interessi capitalistici
e generali". Il F. è consapevole della difformità, e anzi del contrasto
fra questa lettura dei principi generali e quella dei compilatori del codice,
ma cionondimeno è dai principi generali così concepiti che fa discendere la sua
costruzione teorica delle responsabilità precontrattuali, prodotte
semplicemente "dalla volontà del trattante alla preparazione e alla
elaborazione del disegno del contratto e dalla volontaria distruzione di un
valore, quale che sia, formatosi ed acquisito all'altra parte" (ibid.,
pp. 129-149).
La centralità della
questione delle fonti torna in un'altra monografia del F., interamente dedicata
alla questione della personalità giuridica, tema in quegli anni ricorrentemente
affrontato da chi volesse riflettere sui confini tra l'ordinamento giuridico e
la sua realtà esterna. Qui il F. espone la convinzione dell'assoluta
autosufficienza delle persone giuridiche sotto il profilo del fondamento
giuridico, tanto che la loro esistenza può prescindere dal riconoscimento
statale: già in diritto romano (G. Faggella, Ilriconoscimento legale
delle corporazioni e delle fondazioni, in Giurisprudenza ital.,
IV [1913], p. 6), particolarmente nei periodi regio e repubblicano, le leggi
hanno disciplinato la vita dell'ente corporativo, a suo parere di origine
schiettamente privatistica, "ma non l'hanno mai creato". Il modello
giuridico, che si limita a indebolirsi in età bizantina, è costruito intorno
alla "coalizione di più volontà nella esplicazione di una data attività
collettiva e pel conseguimento di uno "scopo comune", pure
introducendosi nella loro vita elementi di autarchia e finanche di sovranità
vera e propria: così in età basso-medioevale e moderna il fenomeno si espande
slegato dalla forma della concessione, e sulla immediata base delle esigenze
economiche e civili.
Per il F. la teoria che la
concessione rivesta un ruolo sostanziale nel pieno conseguimento della
personalità giuridica deriva direttamente dall'errata prospettiva della
cosiddetta dottrina della finzione. Mentre al contrario l'autorizzazione
statale, sia nella forma della concessione sia in quella del riconoscimento,
"o è una vacua dichiarazione teorica dei legislatori e delle dottrine, che
non impedisce l'esistenza giuridica delle associazioni e delle fondazioni ... o
si riduce a un precetto proibitivo di qualche manifestazione di questi enti, e
ha sempre carattere negativo". Il F. reputa che tutte le più diffuse
prospettive sulla personalità giuridica sopravvalutino enormemente il ruolo
dello Stato nella sua costituzione. La fonte del problema per il magistrato
lucano è radicale e risiede nelle costruzioni teoriche del soggetto di diritti:
"l'ordinamento giuridico è una delle fonti da cui scaturiscono i diritti
subbiettivi, ma non l'unica, perché vi sono diritti subbiettivi che sovrastano
a qualunque ordinamento giuridico ed hanno la loro radice nella personalità
umana e nei suoi fini". La volontà non è il diritto subbiettivo, ne è lo
strumento, che si muove sulla base dell'interesse "economico e
morale", il quale dà "contenuto obbiettivo ai singoli diritti".
L'ordinamento giuridico è "l'ambiente in cui la persona svolge la sua
attività", della quale il diritto subbiettivo "costituisce una
esplicazione e una obbiettivizzazione ... nel mondo esterno" rispetto alla
quale il diritto in senso obbiettivo è solo fonte di garanzie che potrebbero
anche venir meno senza per questo ledere l'essenza del diritto soggettivo come
tale: il diritto obbiettivo "permette e protegge l'esplicazione
dell'attività umana", e con essa dei diritti soggettivi, ma a questi non è
essenziale. Ed è proprio unicamente quest'attività, quella degli associati, a
costituire per il F. il vero ed unico sostrato della corporazione, mentre in
parallelo un'"attività autonoma elevata dal fondatore a soggetto di
diritti a sé" è l'"essenza" della fondazione. La funzione
dell'ordinamento giuridico è esclusivamente negativa, fondata soltanto su di
una "potestas prohibendi": l'art. 2 del Codice
civile risente della teoria dominante della finzione, ma non per
questo il nostro diritto positivo nega l'attività dell'ente che non abbia
adempiuto ad ogni forma prevista: "per l'esistenza e la vitalità",
continua il F., bastano i requisiti essenziali, come nel caso di società
irregolari, alle quali va attribuita una piena personalità, che l'inosservanza
delle forme relative alla costituzione delle società commerciali non mette in
discussione. Sono essenziali solo l'atto costitutivo o il contratto societario
(art. 1697 del Codice civile), con la costituzione di un fondo
sociale, la divisione dei guadagni fra i soci, l'impiego dei fondi societari in
atti di commercio: non la scrittura, né le forme di pubblicità (ibid.,
pp. 8-41).
Porre l'atto di volontà a
fondamento unico della personalità giuridica consentirà dunque al F. di
ammettere la personalità delle associazioni in partecipazione "malgrado
l'insegnamento unanime della dottrina e malgrado le esplicite dichiarazioni del
legislatore" (Dell'associazione in partecipazione, Milano 1924, p.
846) purché vi sia un atto di volontà dell'associante e degli associati diretto
a costituire in ente autonomo "l'attività dell'associazione come
tale": per il F. qualsivoglia norma di legge che non vieti espressamente
"l'esistenza di un'attività autonoma" non ne può impedire la nascita,
la vita e l'attività di fronte a terzi consapevoli (ibid.).
Dal 1909 al 1917 il F.
trascorse un secondo periodo a Roma, dove fu consigliere presso la corte
d'appello; nel 1915 conseguì la libera docenza in diritto civile presso
l'ateneo romano, con una valutazione che sottolineò l'amplissimo spettro
disciplinare dei suoi interessi e dei suoi contributi scientifici. Nel '17 fu
nominato procuratore generale presso la corte d'appello di Trani e dal '21 fu
componente del Consiglio superiore della magistratura.
Lasciò Trani nel '22, a
quanto sembra anche a seguito delle gravi tensioni politiche della zona: i
disordini raggiunsero l'apice il 25 sett. 1921 con l'assassinio del deputato
socialista G. Di Vagno. Che la situazione abbia avuto conseguenze per il F.
risulta dal testo di una lettera di I. Bonomi al ministro di Grazia e Giustizia
G. Rodinò in data 15 ott. 1921, nella quale si fa cenno ad una commissione di
deputati socialisti pugliesi, i quali avrebbero richiesto a Trani un
procuratore generale "che dia maggior prova di energia" (Arch.
centrale dello Stato, Min. Grazia e Giustizia, fasc.
470-83). Nei confronti del F. non viene però mosso dalla stampa socialista
alcun rilievo in ordine a simpatie per i fasci di combattimento, e appare
significativo che l'accusa di copertura delle violenze fasciste per le vicende
in questione non coinvolga la magistratura (cfr. La benemerita aiuta
gli assassini, in Avanti!, 5 ott. 1921, p. 1). E va ugualmente
considerato che il fratello Manlio, già interventista, ebbe fama di
antifascista almeno dalla seconda metà degli anni Venti.
Dopo un breve periodo
trascorso come procuratore generale presso la corte di cassazione di Palermo,
il F. chiuse la sua carriera di magistrato come presidente delle cassazione di
Napoli, carica che lasciò nel 1923 per trasferirsi, in pensione, a Roma (si
veda Arch. centrale dello Stato, Min. Grazia e Giustizia, fasc.
470-83 cit.).
A conclusione d'una carriera
di magistrato e giurista stanno le riflessioni ai margini della teoria generale
del diritto che nel 1933 videro luce sotto forma d'un breve saggio
intitolato La vera essenza del diritto positivo, in Archivio
giuridico Filippo Serafini, s. 4, XXV (1933), pp. 54-82.
Qui il taglio storiografico
dell'argomentazione mette in luce le matrici romanistiche delle riflessioni del
F., come la sua attenzione ad un autore come A. Solmi, più volte citato, o ad
alcune pagine crociane su Vico. Ma soprattutto, qui più compiutamente che prima
sono tratte le conseguenze dell'avvertita inesaustività, per il magistrato e
studioso del diritto civile e commerciale, di quelle prospettive sulla teoria
delle fonti improntate a criteri formalistici. Attenzione storiografica e
sociologica collaborano a produrre un esempio del percorso che in quegli anni
aveva spinto e spingeva la cultura giuridica italiana a valicare i confini
della riflessione orlandiana e pandettistica.
Per il F. le variabili su
cui articolare l'esame degli elementi produttivi del diritto positivo sono numerose,
utili anche ai fini d'una consapevole opera d'interpretazione: "elementi
originari", "individuali e collettivi", "tradizionali e
storici", "sociali", "economici", "morali e
intellettuali". Alla base di questi due categorie: quella di
"attività" e quella di "forza" o complesso di forze.
Storiograficamente, per il F. la forza è fonte primaria del diritto negli
ordinamenti più primevi, con riferimento alla "società eroica"
vichiana, ed è tratto o individuale o caratteristico di un "aggregato
individuale predominante". Il diritto positivo, al di là delle procedure
di elaborazione delle norme, non è che "l'obbiettivizzazione" di una
"forza complessa" ed "organica". "Cultura",
"costumi", religione non sono che elementi, mai unici e mai
singolarmente dominanti, del "complesso armonico" nel quale si
manifestano le forze in campo, insieme coeso che si sviluppa in una
"espansione" e "operosità dominatrice". Nelle varie fasi
del diritto commerciale, nelle esperienze giuridiche dell'alto e del basso
Medioevo, la pluralità dei "raggruppamenti di forze" e la loro
"lotta", il conflitto anche interno a un medesimo insieme e la
tensione all'autonomia fondano lo sviluppo del diritto positivo: a fronte sta
quell'"elemento formale" che ha acquistato sempre maggior rilievo,
sino all'età contemporanea, quando "talvolta diventa esuberante,
superfluo, in più parti ingombrante", perdendo la lucidità e la sintesi
delle "antiche leggi" che "solamente in una proposizione o in un
comando obbiettivavano un atto di forza". E nell'accento sul primato e sul
valore giuridico delle "attività" civili l'opera del F. si collega a
quell'elaborazione del nuovo codice civile che segna la cultura giuridica degli
anni Trenta.
Il F. morì a Roma il 14 apr.
1939.
di Carlo Bersani - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)
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