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Nella valle di Alighede in Etiopia, san Giustino De
Iacobis, vescovo della Congregazione della Missione, che,
mite e pieno di carità, si impegnò nelle opere di apostolato e nella
formazione del clero locale, patendo poi la fame, la sete, le
tribolazioni e il carcere. » |
San Giustino de Jacobis (San Fele, 9 ottobre 1800; † Eidale, 31 luglio 1860) è stato
un religioso, vescovo e missionario italiano della Congregazione della Missione (Lazzaristi),
divenuto vicario apostolico in Etiopia e vescovo titolare
di Nilopoli.
Biografia
Nacque a San Fele, settimo dei quattordici figli che
Giovanbattista ebbe dalla consorte Giuseppina Muccia. Giustino, sotto la guida
della mamma, crebbe tanto giudizioso che i familiari lo chiamavano il
vecchietto. Ogni volta che riusciva a fare per mezz'ora la meditazione
sulla passione del Signore, la madre lo ricompensava con piccoli doni.
Frequentò le scuole a Napoli, dove il padre, nobile decaduto, aveva stabilito
la sua dimora. Per fare più grandi progressi nella virtù scelse come padre spirituale un religioso carmelitano.
A diciotto anni Giustino capì che non era fatto per il mondo.
Chiese di fare parte della Congregazione della Missione nel
noviziato della quale sorprese tutti per la regolarità di vita, la sete di
umiliazioni e la condiscendenza verso tutti. Stentava ad apprendere per la
mediocrità dell'ingegno, motivo per cui si sarebbe fatto volentieri fratello coadiutore.
Dopo l'ordinazione sacerdotale, che ricevette a Brindisi
il 12
giugno del 1824 con la dispensa dell'età, il santo si mise subito
a predicare le missioni al popolo in numerosi paesi della
Puglia.
Nel 1829 fu mandato dai superiori a Monopoli per la fondazione
di una casa, attività che svolse pur senza trascurare i fedeli, il confessionale e la cura
dei malati a diversi dei quali ottenne la guarigione con un segno
di croce.
Nel 1834 padre Giustino fu eletto superiore della casa di
Lecce. Egli però non voleva essere chiamato con tale titolo, ed era felice
quando poteva prestare un servizio ai confratelli. Da Lecce fu trasferito a
Napoli per assumere la direziono del noviziato nel 1836. In quell'anno a
Napoli scoppiò il colera, ed egli si prodigò fino al limite delle forze per
confortare i morenti. Cessata l'epidemia il santo fu eletto superiore della
Casa delle Vergini, centro della provincia napoletana.
In quel periodo padre Giustino ricevette l'invito dal cardinale Giacomo Filippo Fransoni, Prefetto di Propaganda
Fide, di recarsi in Etiopia come Prefetto Apostolico.
Egli lo accolse perché si sentiva spinto a recarsi dove maggiore era il bisogno
di evangelizzazione e più
grande la fatica. Affrontò i pericoli del duro viaggio, durato quattro mesi, in
compagnia di padre Luigi Montuori, raggiunse Massaua nel 1839 accolto da
Padre Giuseppe Sapete, che era riuscito a stabilirsi in Abissinia insegnando
arabo allo scienziato ed esploratore Antonio d'Abbadie. In Etiopia De Jacobis
lavorò in principio ad Adua, con il permesso del re del Tigre, Ubié.
Il primo anno in Abissinia fu per padre Giustino un anno di
ritiro per lo studio delle tre lingue etiopiche. Per riportare gli abissini,
caduti nell'eresia del monofisismo eutichiano,
all'unità della fede, egli
riteneva necessario vivere in tutto conforme ai loro usi. Vestiva perciò di
bianco come un monaco del paese, dormiva per terra nutrendosi di riso,
polenta, legumi e raramente carne di capra. Nella casa in cui dimorava cominciò
a tenere delle conferenze a chi lo voleva ascoltare con grande soddisfazione
dei preti di Adua.
La pietà e la mitezza del santo fecero pensare al re Ubié che
De Jacobis sarebbe stato la persona più adatta per condurre una delegazione al
Cairo allo scopo di ottenere un nuovo Abuna copto monofisita, essendo morto
l'ultimo nel 1828.
Padre Giustino prima esitò, poi accettò a condizione che l'ambasciata, tra cui
figurava il dotto monaco B. Ghébrè-Michael, potesse recarsi pure a Roma e a Gerusalemme.
Al Cairo l'eletto fu Abba Andreas, giovane allievo dei metodisti che prese il
nome di Salama II, empio, avido, intransigente. Il ritorno del P. De Jacobis ad
Adua, dopo molti mesi di assenza, fu un trionfo e, ben presto, numerosi
monofisiti si convertirono tra cui il suo compagno di viaggio B.
Ghébrè-Michael.
La Prefettura
Apostolica di Etiopia era un territorio molto vasto. Mancando gli
operai, la Congregazione di Propaganda Fide nel 1846 nominò il
padre Guglielmo Massaia O.F.M. Cap., Vicario Apostolico
dei Galla, cioè della parte meridionale del paese. Le due missioni si
svilupparono quasi parallelamente, con alterne vicende, secondo gli umori dei
principi delle varie regioni, sempre in lotta tra loro per il sopravvento e
sempre in balia del loro nemico, l'abuna Salama II.
A Guala il Massaia fece gli esercizi spirituali con il santo prima di
procedere alle ordinazioni dei giovani che stava
preparando al sacerdozio. Nelle sue memorie così parla di lui:
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Vedere quell'uomo sempre grave e piacevole ad un tempo,
parco nel vitto e semplice, modesto e disadorno nel vestito, cortese e
caritatevole nelle maniere, nel discorso sempre pronto a dire una parola
edificante, inseparabile dai suoi allievi, ch'egli trattava con la dolce
autorità di padre e con l'affettuosa familiarità di fratello; sempre con essi
nelle faccende, nel lavoro, nelle refezioni, nella preghiera; vederlo
celebrare la santa Messa come un estatico, assistere alle orazioni comuni
con un raccoglimento e una pietà angelica; vederlo insomma vivere una vita in
cui era sposata la ritiratezza dell'anacoreta con
lo zelo dell'apostolo, era per noi una predica vivente. [1] » |
A parere di tutti era giunto il momento che anche la
Prefettura Apostolica dell'Etiopia settentrionale avesse il suo Vicario
Apostolico. Il Massaia propose a Roma per quel compito il padre Giustino perché
lo riteneva il più idoneo, e perché era stimato e consultato persino dagli
scismatici. Papa Pio IX il 6 luglio del 1847 lo
nominò vescovo titolare di Nicopoli e Vicario
Apostolico dell'Abissinia, ma il Massaia dovette lottare sei mesi per
convincerlo ad accettare l'ufficio di cui si considerava indegno e incapace. La
cerimonia dell'ordinazione ebbe luogo il 7 gennaio del 1849 di notte,
durante la persecuzione che aveva costretto il santo a
ritirarsi a Massaua. Due casse sovrapposte in una casa formavano l'altar maggiore,
due preti abissini che non capivano il latino fungevano da testimoni, una
sola mitra e un solo pastorale servivano
successivamente ad entrambi.
Nel 1854 Kasa, signore di Guarà, approfittando dell'anarchia
imperversante in Abissinia, riuscì a sconfiggere i capi rivali e a proclamarsi
a Gondar unico imperatore con il nome di Teodoro II. Mons. De
Jacobis concepì allora l'audace progetto di recarsi alla corte imperiale per
trattare dei cattolici perseguitati a morte dall'abuna Salama I. Difatti era
stato proclamato questo editto:
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Chiunque non si convertirà alla religione del nostro Abuna
Salama sarà raccorciato in alto e in basso, cioè della testa e dei piedi:
Gesù Cristo con la sua umanità ha la medesima scienza del Padre e dello
Spirito Santo!. » |
A Gondar il santo fu gettato in prigione con diversi
cattolici tra cui il B. Ghébré-Michael, che in seguito morì per le sofferenze
patite, e si salvò dalla pena capitale soltanto perché l'abuna Salama I aveva
rifiutato di assumersi dinanzi a Dio la
responsabilità della sua morte. Scrisse in verità a Teodoro II:
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Caccia via l'abuna Jacob, ma non l'uccidere: è un santo e
nessuno osserva meglio di lui la legge del Signore. [1] » |
Espulso e condotto verso il Sennar, il santo riuscì a
guadagnarsi l'animo della sua scorta e a rifugiarsi in Halai, dove era stato
trasferito il collegio. Ivi attese alla formazione dei giovani aspiranti e
appoggiò la ribellione di Neguré, un nipote del vinto Ubié, contro
l'imperatore; e verso Neguré cercò di condurre un inviato di Napoleone III, il
conte di Russel, ma costui dovette fuggire sull'altipiano e riparare di notte
verso Massaua. Poco dopo il santo stesso dovette ripiegare verso la costa.
Appena poté cercò di riguadagnare l'altipiano, ma la morte lo colse il 31
luglio del 1860, alle ore quindici, come aveva predetto, in Eidale, nella
vallata dell'Alighedé (Eritrea), con la testa appoggiata ad un sasso,
circondato da pochi fedelissimi discepoli ai
quali aveva detto:
« |
Vi raccomando di sperare molto, di essere forti nella fede,
di crescere continuamente nella carità e di evitare la maldicenza. Pensate
che dovete essere la luce dell'Etiopia. [1] » |
Le sue reliquie sono venerate a Hebo,
dove furono tumulate le sue spoglie mortali.
TOMBA DI SAN GIUSTINO
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