Ti metti in cammino. Lasci l’area
casalinga – quella dalla Bitonto della meravigliosa cattedrale romanica o della
Bari levantina e occidentale insieme – e raggiungi San Fele, cascate di magia.
La Lucania è terra anche di questi flussi ancestrali che vengon fuori dalle
viscere delle rocce.
Quelle di San Fele (Potenza), tra
le più suggestive (ma ce ne sono anche a Savoia di Lucania).
Il paese s’abbarbica tra
inestricabili viuzze, segno classico del piccolo centro-castello che amava
confondere i nemici. Le cascate hanno molto anche di antico. Usate per la
lavorazione della lana, fanno parte del corso del torrente Bradano (omonimo
dell’importante fiume). Sono l’attrazione principale del piccolo centro. Il
panorama d’attorno, bellissimo, con tante ginestre.
A non molti chilometri, ecco
anche i laghi di Monticchio (Atella-Rionero in Vulture).
San Fele ti conquista: un santo
ottocentesco vincenziano, missionario in Etiopia; una chiesa madre con scale
che perdi chili già a vederle; una pasticceria deliziosa; l’indicibile
groviglio d’arterie minute.
Fai un po’ di strada (abbastanza,
ce lo siamo imposti) e sei a Montaguto (Avellino), al confine tra la bassa
Daunia e l’Irpinia, non prima di aver superato, indignato, il Formicoso ormai
inondato di pale eoliche sino alla vergogna, siamo tra Andretta, Bisaccia,
Lacedonia.
Ecco Montaguto, monte aguzzo come
l’etimo già vuole. Di qua Orsara e di là Panni e Monteleone.Poco da segnalare,
qui, si direbbe a prima vista. Qui ci arrivi solo se la cultura arcaica dei
paesi ti prende davvero dentro.
C’è il cielo, lo cogli e ti senti
un re. Ci sono colline selvagge. Pochi, pochissimi abitanti.
Arriviamo all’imbrunire, di vivo
il lascito dei secoli, ma attorno non vedi nemmeno un gatto. Montaguto è un
paese presso cui fermarti solo se sei pervicacemente innamorato della semplicità,
anche quella che ti fa dire «ma qua che ci sta?».
Ma un paese ha sempre qualcosa,
soprattutto quando, tutto sommato, non è stato stravolto, quando ha conservato
la sua radice, la sua fisionomia d’identità, il suo tracciato.
A parte che la celebre, nel bene e nel male, «frana di Montaguto» ha creato anche dei laghetti.
A parte che la celebre, nel bene e nel male, «frana di Montaguto» ha creato anche dei laghetti.
Scopri qualcosa di carino,
allora. Un lago lo trovi, inaspettato quasi, anche a Savignano Irpino,
vicinissimo a Montaguto.
Si tratta di due località che
nella storia moderna hanno giocato un po’ al rimbalzo, tra Irpinia e area
dauna, dunque tra Campania e Puglia.
Prima pugliesi, ora avellinesi.
Per modo di dire perché poi, a Savignano, la sagra è dell’orecchietta, mica del
Carmasciano, un formaggio che godi già nel pronunciarlo, roba che chiudi gli
occhi e sei in un pascolo: principe dei prodotti caseari della zona di Rocca
San Felice, sempre Avellino.
Medesima sorte per paesi come
Orsara, Rocchetta, Anzano e altri: oggi pugliesi, ieri irpini.
Poi a Montaguto c’è una signora
che gestisce un piccolo bar (bar tuttofare: si trasforma in salumeria
accattivante in un batter d’occhio, con sapori che non vi diciamo). Bar antico
in tutto: pavimento, bagno dietro il biliardo, stemma della squadra di calcio
anni Ottanta, caffè corposo.
Questa signora sta lì da
cinquant’anni, forse di più. Aspetto disordinato e faccia stanca, non ricorda
più gli anni nemmeno lei. Il bar sta sulla strada. Se guidi da due ore, non
puoi non fermarti. Fuori due cani e una fontana. Sosti che è un piacere.
E poi sei già sull’antica
bretella di collegamento tra Puglia e Campania, tra Bari e Napoli, quando
l’autostrada non esisteva ancora e ci volevano quattro-cinque ore per
raggiungere la città partenopea da Bari. Montaguto, Ariano (che prima, guarda
un po’, apparteneva alla Puglia) e sei allo svincolo: verso Benevento di qua, a
Napoli di là. Se continui per Benevento, c’è Castelfranco in Miscano, carina
assai.
C’è Buonalbergo, che ti ospita
sin dal nome. Il viaggio continua. Ma la signora di Montaguto, più di tutti,
vale già il prezzo del biglietto.
Perché il viaggio o è
antropologico o non è.
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