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venerdì 29 giugno 2018

A Matera il 13 luglio prossimo l’evento nazionale “Lavoro che cambia: professioni del futuro”


Creare un tavolo di confronto tra i più autorevoli esperti italiani ed europei sulle politiche del lavoro” è l’obiettivo dell’evento nazionale “Il Lavoro che cambia: le professioni del futuro”, che si svolgerà a Matera il 13 luglio (dalle ore 15), organizzato dall’Agenzia regionale lavoro e apprendimento in Basilicata (Lab). Il programma è stato presentato oggi, a Potenza, nel corso di una conferenza stampa.

All’evento interverranno, tra gli altri, i direttori delle Agenzie regionali per il lavoro delle Regioni Emilia Romagna e, i dirigenti di Enea e della Fondazione gazzetta amministrativa, i rappresentanti dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpla) e la responsabile nazionale di Eures, la rete europea per la mobilità internazionale dei lavoratori che opera in 32 Paesi. L’evento sul lavoro che cambia si svolgerà al termine della riunione annuale delle Rete Eures italiana: “E’ stato accolto l’invito che la Lab ha rivolto al Coordinamento nazionale Eures l’anno scorso – ha spiegato il direttore generale Antonio Fiore – in occasione dell’evento organizzato da Regione Basilicata, Lab e Zentrale Auslands und Fachvermittlung, il servizio di collocamento internazionale della Germania, per la selezione di giovani professionalità da assumere in strutture sanitarie tedesche”.

La Lab è organizzata in una struttura direzionale con sedi a Potenza e Matera e quattro sedi periferiche territoriali (Lauria, Venosa, Villa d’Agri e Tricarico). Coordina otto Centri per l’impiego con sei sub-centri.

martedì 26 giugno 2018

“Andare per stadi”, la cultura italiana raccontata attraverso i “templi” del calcio

Recensione del volume di Pierluigi Allotti, Il Mulino 2018

Che il calcio rappresenti qualcosa di importante per il nostro paese mi sembra affermazione scontata. Esso emana un fascino sportivo, sociale e politico ineludibile, rappresentando una chiave di lettura che ci permette di individuare le traiettorie della nostra società, della nostra capacità di vivere insieme quasi del nostro destino nazionale. E il calcio italiano come ritasi pagano, e come liturgia laica ci viene descritto da Pierluigi Allotti nel suo ultimo e agile volume edito da Il Mulino, Andare per stadi, Euro 12.
Il libro affronta e propone il calcio italiano dal lato, per restare nel solco del rito di massa come riferimento, delle sue cattedrali: gli stadi. Così facendo il testo si muove fra la storia d’Italia: dall’epoca dell’Italia liberale ai nostri giorni, dimostrando la vitalità, la gioia e le possibilità che il calcio rappresenta, e ha rappresentato, nel nostro paese e allo stesso tempo mettendone in risalto i limiti, le difficoltà e gli errori.
Il libro parte da Torino, dal confronto fra Italia e Francia del 29 marzo 1914 allo Stadium, non quello, ovviamente, che gli appassionati conoscono oggi. Confronto amichevole vinto dall’Italia per due a zero. Il racconto della partita e di tutto ciò che vi si mosse intorno dà l’opportunità all’autore per affrontare l’Italia dei primi del Novecento che cambia, che si modernizza ma che, allo stesso tempo, sta per affrontare il primo conflitto mondiale. E gli fornisce quindi la possibilità di parlare dell’evoluzione di una città del nord come Torino, roccaforte della corona e del progresso industriale del paese.
Il calcio cominciò presto ad assumere rilevanza di massa, come mette in risalto Allotti affrontando la partita Genoa – Pro Vercelli del 14 maggio del ’22, match perso dalla squadra di casa. Ed è singolare quanto scrisse, emblematicamente, “L’Ordine Nuovo” il giornale comunista diretto da Gramsci: “Genova è in lutto”. Simbolo che il fenomeno aveva dimensioni tali ormai che anche giornali alieni da interessi di questo tipo non potevano astenersi dal parlarne. Di particolare interesse è la parte in cui, attraverso la descrizione della nascita dello stadio del Bologna, Allotti racconta l’impossessarsi fascista dello gioco del pallone, che divenne centrale nella pedagogia, così come tutto lo sport, con cui il regime voleva “avvolgere” ed “educare” il paese, soprattutto i più giovani. Tra l’altro proprio il giorno dell’inaugurazione dello stadio, 31 ottobre 1926, alla presenza di Mussolini, si consumò, nel pomeriggio, mentre quest’ultimo si avviava verso la stazione, un tentativo di attentato al Capo del governo fascista, di cui fu individuato e accusato come colpevole Anteo Zamboni, linciato per questo dalla folla sul posto.
Evento che diede a Mussolini il pretesto per instaurare quanto già era nei fatti, e cioè il regime dittatoriale, attraverso la messa fuorilegge, il mese dopo, di tutti i partiti di opposizione. Sotto il regime si aprì per il calcio una delle stagioni più proficue. Per il regime esso rappresentava un’arma di propaganda importante (basti pensare al mondiale organizzato in casa e vinto nel 1934): “Sotto il fascismo –scrive l’autore – si aprì una stagione d’oro per il calcio italiano, strumento di propaganda tra i più efficaci a disposizione del regime, se era vero – come pure sosteneva Pozzo, richiamato dal presidente della Fgci Arpinati sulla panchina della Nazionale prima dell’incontro con i portoghesi – che «una vittoria riportata all’estero da coloro che difendono ufficialmente i colori nostri ha maggiore valore di dieci discorsi diplomatici»”.
Ma gli stadi sono stati simbolo anche di speranza per l’Italia che si rialzava dal secondo conflitto mondiale: un paese libero e repubblicano. Come il Filadelfia dove giocò il grande Torino di Valentino Mazzola (segnato dalla tragica sorte di Superga) simbolo di un’Italia che voleva risollevarsi dai lutti della Seconda guerra mondiale e tornare a divertirsi, sognare ed entusiasmarsi. Così come il grande stadio di San Siro, nella veste rinnovata del dopoguerra, che il 1° ottobre del 1961 registrò lo scontro fra l’Inter di Herrera ed il Milan di Rocco di fronte a più di 80mila spettatori. Era l’Italia del boom che nelle due milanesi scorgeva due filosofie di gioco, e forse di approccio alla vita: entrambi modelli vincenti, almeno nel calcio, di una delle città capofila del cosiddetto miracolo italiano.
Per non dimenticare il Cagliari di Gigi Riva che compì la vera e propria impresa di portare lo scudetto in Sardegna e che lasciò l’Amsicora, stadio dei trionfi, per giocare la prima partita dell’allora Coppa dei Campioni al Sant’Elia stadio comunale, impianto nuovo che voleva celebrare la squadra di Scopigno e “rombo di tuono” e dimostrare come anche il sud del paese potesse dire la sua nel mondo del calcio. Ma gli anni Settanta rappresentarono per il paese un periodo difficile e tormentato a più livelli, in cui la violenza si fece armata trovando delle rispondenze negli scontri di piazza e in quelli degli stadi, fenomeno quest’ultimo che in Italia avevano trovato ben presto significative manifestazioni. E’ il caso della morte del tifoso laziale Paparelli colpito da un razzo sparato dalla curva sud (occupata dalla frange più calde del tifo giallorosso), durante il derby giocato allo stadio Olimpico il 28 ottobre del 1979. Gli anni ’80 avrebbero conosciuto lo scandalo del calcio scommesse con la polizia che arrestò alcuni giocatori della Lazio prelevandoli dallo Stadio Adriatico dove si era giocata Pescara – Lazio.
Sempre negli anni ’80 si riaccesero rivalità già calde, come quella fra Juve e Roma, che si rinfocolò con l’annullamento, contestato, del gol di Turone durante una partita giocatasi allo stadio comunale di Torino il 10 maggio 1981. Si vissero, inoltre, imprese sportive vere e proprie come il titolo del Verona di Bagnoli (degli stranieri Briegel ed Elkjaer) o l’arrivo della filosofia sacchiana sul calcio nostrano, manifestatasi in tutta la sua importanza nello Stadio San Paolo di Napoli, al cospetto del Napoli, vincente e divertente, di Maradona, il 1 maggio del 1988, quando i rossoneri (di proprietà di Silvio Berlusconi) “sbancarono”, come si dice oggi, lo stadio, vincendo e uscendo fra gli applausi dei tifosi di casa che ne riconobbero la superiorità. Gli anni ’90 con il mondiale in Italia avrebbero portato ad un ammodernamento degli stadi, di cui l’emblema fu quello di Bari, nato su progetto di Renzo Piano, che ospitò la finale per il terzo e quarto posto dei mondiali fra Italia e Inghilterra.
Passando da Baggio che, tornando a Firenze, nello stadio che lo aveva visto protagonista, dopo la contestata cessione alla Juve, non tirò il rigore concesso a favore della Juve, fino al prototipo degli stadi moderni e funzionali nel nostro paese e cioè lo Juventus Stadium (inaugurato l’8 di settembre del 2011), il libro si chiude con una ricognizione della situazione stadi nel nostro paese, dove molti spettatori hanno abbandonato la partita dal vivo per tutta una serie di motivi, e dove la costruzione di impianti di proprietà delle società, e ammodernamento di quelli già esistenti, procede lungo un percorso lento, ma forse inesorabile.
Il libro racchiude dunque la storia del nostro paese all’interno dell’evoluzione di questa tipologia di impianti sportivi, cogliendone gli sviluppi, i ritardi e le possibilità nonché le sfide mancate e vinte.
Un modo intelligente, quello utilizzato dall’autore, per suggerire piste di indagine sulla società e sulla storia del nostro paese e anche per fornire un sano e brillante divertimento per chi ama leggere di questo sport. Una ultima suggestione: resta sempre affascinante il racconto del gol fatto con la parola scritta (che propone termini che la giustapposizione quotidiana ha reso disponibili nel vocabolario di tutti).
In un mondo di immagini in cui i gol a volte si vivono in tempo più che reale, da tutte le angolazioni, nulla può, a mio parere, eguagliare un Gianni Brera (più volte citato nel libro) che conia definizioni che sono rimaste nella storia, come l’appellativo di “rombo di tuono” dato a Riva, o di altri giornalisti che raccontano una rete. Prendo un esempio fra tutti (nel libro ce ne sono tanti). L’autore, con riferimento al derby di Milano del 1° ottobre del ’61, così scrive: “I rossoneri iniziarono a ritmo elevato sorprendendo i nerazzuri. E già al 4’ Pivatelli, liberissimo, su angolo di Rivera, sciupò una palla gol mettendo di testa al lato. Tre minuti dopo, arrivò il primo tiro in porta dell’Inter, ma al 18’ il Milan passò in vantaggio: Pivatelli, ancora una volta libero dalla marcatura di Bolchi, su uno spiovente in area di David staccò di testa, da cinque metri, incornò in rete sulla sinistra del portiere nerazzurro, Lorenzo Buffon. Al 27’, sempre Pivatelli sfiorò il raddoppio con un «sinistro omicida» (Brera); e al 45’ fu poi l’Inter a rendersi pericolosa con un destro insidioso di Bettini, respinto in tuffo, di polso, da Ghezzi”.
Chi è appassionato di calcio può riconoscersi (e riconoscere tante altre situazioni lette e vissute) in questi termini. Nella descrizione di Allotti, quasi può vedere l’azione, per chi non è interessato quantomeno rappresenta lo sforzo appassionato di descrivere e rendere vivo nel presente un atto che appena consumato passa, ma resta comunque vitale, così come il gioco del pallone nel nostro paese.

mercoledì 20 giugno 2018

Bullismo: 3 lucani su 10 lo subiscono, e il 70 per cento non ne parla


I dati di una ricerca della Società italiana di pediatria
Il 30% dei lucani tra i 14 e i 18 anni ha subito “in silenzio” atti di bullismo (nel 10,5% dei casi si tratta di cyber bullismo), altrettanti sono stati “bulli”, e il 70% delle vittime non ne ha parlato con nessuno: sono alcuni dei dati emersi da una ricerca svolta dalla Società italiana di pediatria (Sip) su un campione di tremila ragazzi, e presentata stamani, a Potenza, nel corso di un incontro, dal garante dell’infanzia, Vincenzo Giuliano, e dal presidente regionale della Sip, Domenico Armiento.
Oltre al bullismo, dallo studio emergono altri due fattori critici, che riguardano lo stato psicologico dei giovani e la loro alimentazione: la metà degli intervistati, infatti, ha dichiarato di essere stato “così male da non riuscire a trovare sollievo”, e uno su due ha espresso la necessità di un sostegno psicologico (il 90% non lo ha poi fatto, e il 2,3% ha utilizzato quello della scuola).
Coloro i quali si sono rivolti a uno psicologo (6%) lo hanno fatto per problemi familiari (4%) o per disagio comportamentale o sentimentale (4,2% circa).
Sul fronte alimentare, invece, un adolescente su quattro si vede in sovrappeso, ma solo l’11,7% lo è effettivamente. Il 53,2% fa colazione regolarmente, ma il 46% non pratica un’attività sportiva. Un ultimo aspetto riguarda l’uso dei cellulari: l’età media per il primo smartphone è tra i 10 e i 12 anni, ma l’1,4% lo ha avuto a 5 anni, e il 34% tra i 6 e i 10 anni. Un adolescente su due, infine, ammette di “navigare” spesso sui social, rasentando quindi la soglia dell’internet addiction.
“In base a questi risultati” ha spiegato Giuliano “è necessario creare una rete tra enti, istituzioni e associazioni per far fronte a questi problemi, e questo è uno degli obiettivi dell’incontro di oggi, per cercare di programmare le prossime azioni di tutela dei nostri giovani”. Armiento ha invece evidenziato “le difficoltà degli adolescenti, emotive e comportamentali, con aspetti che stanno cominciando a emergere anche tra i bambini”.

martedì 19 giugno 2018

Basilicata. Dalla Regione tre avvisi pubblici da 35milioni di euro per imprese, artigiani e commercio




In totale, le risorse messe in campo dalla Regione Basilicata ammontano a 35 milioni di euro. Gli avvisi pubblici presentati da Pittella e Cifarelli, rispettivamente presidente della Regione e assessore alle politiche per lo sviluppo riguardano tre bandi: Piani di sviluppo industriale attraverso Pacchetti integrati agevolativi (Mini Pia), Impresa artigiana innovativa e piccola distribuzione in marcia verso l’innovazione.

Il primo bando ha lo scopo di “definire le procedure attuative per la selezione di piani di sviluppo industriale attraverso lo strumento di incentivazione dei Pia (Pacchetti integrati di agevolazione)” per il “rafforzamento delle imprese esistenti e alla creazione di nuove iniziative imprenditoriali”, con 27 milioni di euro (dal Po Fesr 2014-2020), per attività da avviare nei settori dell’aerospazio, dell’automotive, della bioeconomia, dell’energia, dell’industria culturale e creativa. L’importo minimo dei progetti è di un milione di euro per le nuove iniziative, e di 500 mila euro per gli investimenti di ampliamento o di diversificazione. Il contributo massimo è di 1,5 milioni di euro.

Quattro milioni di euro sono destinati al bando sull’artigianato, per “sostenere la competitività delle imprese artigiane promuovendone gli investimenti in innovazione di prodotto, processo, organizzativa e commerciale e favorendone il ricambio generazionale”. Sono ammissibili progetti d’importo minimo di diecimila euro, con una copertura massima del 50% e un contributo fino a 20 mila euro.

Altri quattro milioni sono destinati al bando sul commercio, per “concedere aiuti nella forma di contributo finalizzati al rilancio delle attività commerciali, soprattutto nei centri storici, promuovendone gli investimenti in innovazione di prodotto, processo, organizzativa”. I settori di attività vanno dai supermercati al commercio al dettaglio (sostegno del 50% e contributi fino a 20 mila euro).

“Abbiamo deciso di dare ossigeno al commercio e all’artigianato lucano, fatto da veri e propri imprenditori che svolgono anche funzione di animazione della economia regionale. Dopo la legge sull’artigianato da noi varata, e dopo aver avviato un percorso con le associazioni di categoria, finalmente abbiamo stanziato risorse importanti per incentivare i nostri commercianti ed artigiani” ha detto il presidente Pittella presentando l’iniziativa regionale dedicata a imprese, artigianato e commercio: “È un segmento” ha aggiunto “a cui prestare attenzione e che merita sostegno tanto per i piccoli quanto per i grandi investimenti. Accanto a questi bandi, ci sono poi 27 milioni di euro per aiutare gli investimenti delle piccole e medie imprese. Diamo la possibilità di recuperare un sito dismesso o di rilevare aziende in crisi. Ci sembrano opportunità significative che il nostro tessuto imprenditoriale credo sia in grado di cogliere”.

“Si tratta” ha poi spiegato l’assessore regionale alle Politiche di sviluppo, Roberto Cifarelli “di avvisi pubblici che erano molto attesi, soprattutto per quel che riguarda l’artigianato ed il commercio. Parliamo di settori particolarmente importanti nell’economia lucana. Sono 10.500 circa, le imprese iscritte nell’albo degli artigiani: settemila nella provincia di Potenza, 3.500 in quella di Matera. Abbiamo messo a disposizione per gli avvisi su artigianato e commercio, 4 milioni di euro per ciascuno, a valere sulle risorse recuperate dalla ex card carburante per attività di sviluppo. Il terzo bando, quello relativo ai Mini Pia è stato pubblicato invece per dare un’occasione anche alle piccole e medie imprese che non avevano potuto aderire al precedente avviso sui Pia, del 2015, mettendo a disposizione 27 milioni di euro”.

giovedì 14 giugno 2018

Rapporto Bankitalia. Nel 2017 “modesta crescita” dell’economia in Basilicata


Cresce il turismo, diminuiscono le esportazioni
Nel 2017 l’attività economica in Basilicata “è cresciuta in maniera modesta”, sostenuta soprattutto dall’andamento dell’industria e dei servizi: cresce il turismo, non solo a Matera ma anche in molte aree della regione, le esportazioni sono però diminuite, in relazione al calo dell’automotive, bilanciato però dalle estrazioni petrolifere.
I dati sono contenuti nel rapporto “Economie regionali, l’economia della Basilicata” realizzato da Bankitalia e presentato stamani a Potenza, nel corso di una conferenza stampa.
Il valore aggiunto dell’industria è aumentato dell’1,6%, sostenuto dalla ripresa delle estrazioni (cresciute, per petrolio e gas, del 30%). Un aumento che tocca in particolare anche le piccole imprese lucane, con una ripresa degli investimenti. Lo scorso anno segna però una stagnazione del settore delle costruzioni e un arretramento della produzione agricola (-3,8%) in tutte le principali colture.
Crescono ancora i servizi (+1,3%), e in particolare il segno positivo contraddistingue il settore turistico lucano: non solo per le presenze a Matera (+9,4%) che accoglie un terzo dei turisti arrivati in Basilicata, ma in generale in tutta la regione (+6,5).
Nel 2017, inoltre, l’occupazione si è ridotta del 2,2%, a fronte di una crescita dell’1,2% nel Mezzogiorno, interrompendo così la ripresa del triennio precedente, che aveva permesso un riavvicinamento ai livelli occupazionali pre-crisi: il calo ha riguardato sia i dipendenti che gli autonomi (anche se nei primi tre mesi del 2018 l’andamento ha ripreso a crescere dell’1,6%).
Il tasso di occupazione è sceso al 49,5% (dal 50,3), mentre per i laureati è rimasto sostanzialmente stabile al 68,9%, “circa dieci punti percentuali in meno rispetto al dato nazionale”.
Sul divario con l’Italia “influisce la domanda di lavoro – è scritto nel rapporto – da parte delle imprese lucane, meno orientata verso i lavoratori con un’elevata dotazione di capitale umano”.
Nel 2017, infine, è proseguita l’espansione dei prestiti bancari (2,8%), e il reddito disponibile delle famiglie “ha risentito della debolezza del mercato del lavoro registrando una riduzione che ha interrotto la crescita del triennio precedente”