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giovedì 12 marzo 2020

FAGGELLA, Gabriele



FAGGELLA, Gabriele. - Nacque a San Fele (Potenza) il 28 ag. 1856 da Gabriele e Alfonsa Marraffino in un gruppo familiare che sarà ricco di personalità considerevoli: dei fratelli Donato e Manlio, entrambi più giovani del F., il primo, anch'egli magistrato, sarà senatore dal 1929, mentre il secondo seguirà la carriera accademica come grecista.
Il F. si laureò in giurisprudenza all'università di Napoli nel 1879 ed esercitò per qualche anno come avvocato a Potenza. La temperie dell'ateneo napoletano lo permeò profondamente, avvicinandolo una volta per sempre alla pandettistica, a quella cultura giuridica tedesca della quale il F. sarà sempre attento osservatore e al diritto romano, che gli farà da costante punto di riferimento nella riflessione: la seconda edizione della più nota fra le sue opere, I periodi precontrattuali e la responsabilità precontrattuale (Roma 1918), sarà infatti dedicata a Carlo Fadda.
Nell'89 il F. superò brillantemente gli esami da pretore, senza però prendere servizio a causa di vicende familiari. Tre anni dopo entrò come giudice presso il tribunale di Roma, dove rimase fino al 1899.
Negli anni trascorsi al tribunale di Roma il F. redasse un gran numero di sentenze di rilievo, in gran parte pubblicate sulle riviste Temi romana e Giurisprudenza italiana. In particolare il tenore di una fra queste indica la salda adesione del F. ai principi dell'Italia liberale: quella del 22 giugno 1898 in causa Merino c. Flores, relativa alla competenza a conoscere da parte del tribunale civile italiano materie attribuite da ordinamento straniero ad altre autorità giurisdizionali, nella fattispecie il tribunale ecclesiastico relativamente a una controversia di separazione personale fra coniugi di cittadinanza spagnola. La sentenza opta per la piena competenza del tribunale civile italiano, ai sensi dell'art. 6 disposizioni prel. del Codciv., in considerazione "della inesistenza del giudice speciale a cui la legge straniera devolve la questione di separazione personale", non avendo l'autorità ecclesiastica in Italia "altra sfera d'influenza che spirituale": per quanto concerne materie di stato civile, "qualunque sia la iurisdictio straniera competente, in Italia, essendo controversie di diritto civile, non possono essere deferite che alla giurisdizione civile ordinaria" pure tenuta all'applicazione di normativa straniera (La Legge, I [1898], pp. 198 s.).
La prima caratteristica della riflessione del F. è la consapevolezza di non poter separare la carriera, la coscienza e la posizione del magistrato da quella del giurista, pure appartenendo a una cultura giuridica che sottolinea con forza il profilo accademico e dottrinale: sin dalle prime indicazioni intorno alle sedi preferite egli fa sostanzialmente notare che, ferma la sua disponibilità alle esigenze ministeriali, i suoi voti si indirizzano ai posti dove possa proseguire l'attività scientifica in ambiente favorevole agli studi, pertanto al meglio sedi universitarie; e la sua vasta produzione scientifica verrà costantemente richiamata a fondamento delle sue eccellenti note di merito. Nel 1899, in un articolo apparso sul settimanale La Toga, il F. metteva in risalto il legame fra le due attività e prospettive, sostenendo "dover essere uno solo il criterio atto a dare la misura del merito di ciascun magistrato: l'esame obbiettivo del valore delle sentenze o di altri lavori giuridici, dall'esclusivo punto di vista scientifico" (Del modo di mantenere alto il prestigio della magistratura in Italia, II, in La Toga, 22, 11 giugno 1899, p. 1).
La biografia del F. attraversa l'intero tragitto della monarchia unitaria, anche se la sua maturità scientifica si svilupperà dall'età giolittiana ai primi vent'anni del nostro secolo. I primi anni romani furono già assai produttivi, e ne emersero a tutto tondo le principali caratteristiche della sua opera di giurista: sono gli anni in cui la civilistica tedesca, penetrata in Italia a livello accademico, era oggetto di diffusione e interpretazione a livello di cultura giuridica pratica e forense. È del '97 la traduzione del codice civile tedesco (Bürgeliches Gesetzbuch indi: BGB) da parte dell'avvocato torinese Ludovico Eusebio, cui nel 1898 il F. faceva esplicito riferimento nel suo I principii direttivi comparati del Codice civile per l'Impero germanico (La Legge, II [1898], pp. 247-252, 283-288, 320-324).
Il BGB per il F. è "il lavoro legislativo più importante" del secolo XIX, eccelle sugli altri codici, e "segna un progresso non piccolo nel campo legislativo, degno di imitazione e di esempio agli altri popoli civili" è caratterizzato dal forte riferimento organizzativo al "sistema romanistico della trattazione del diritto che prevale negli studi moderni", pur discostandosene per molti versi, e in questo trova ragione la sua superiorità sulle legislazioni di modello francese. Del pari, nella sua esposizione il F. intende seguire "il metodo puramente scientifico dei romanisti e dei civilisti moderni" (ibid., pp. 247 s.).
Particolarmente significativa la posizione del F. in merito alla normativa sulle persone giuridiche: egli si mostra incline a ritenere la personalità preesistente al riconoscimento, seguendo così la posizione sostenuta da C. Fadda e P. E. Bensa, che nelle note al Diritto delle pandette di B. Windscheid parlano, a proposito della posizione dei centri d'interesse nel nostro ordinamento, di "stato di fatto" preesistente al riconoscimento statale (B. Windscheid, Diritto delle pandette, Torino 1902, p. 815).
Il F. reputava tuttavia che la normativa tedesca avesse dato corpo a "gravi disposizioni", lesive di un corretto svolgimento della libertà d'associazione: anzitutto nel contemplare la soppressione della capacità giuridica di un'associazione quando la sua attività leda l'interesse pubblico (§ 43 BGB), per il tramite di un testo particolarmente generico sulle condizioni dell'intervento d'autorità; poi nel prevedere (§ 43 2° capoverso) la revoca della capacità per quelle associazioni che si indirizzino a scopi religiosi o politici ad esse originariamente estranei, poiché "tutto ciò è rimesso all'arbitrio dell'autorità", e sin troppo facile può rivelarsi il rinvenire fra gli atti d'una qualsiasi associazione "un carattere qualsiasi o politico o sociale o religioso". Per il F. "questo diritto supremo, una specie di ius vitae et necis, sulle associazioni" è troppo esteso, "atto a permettere arbitrii e violente oppressioni a scopo politico, tanto più che l'esame delle illegalità e della contrarietà agli scopi statutari è sottratto all'autorità giudiziaria" (I principii direttivi, cit., pp. 283 s.).
Va notato che il richiamo del F. ad un'intima preesistenza della vita giuridica della persona collettiva al riconoscimento statale, pur manifestando una prospettiva per così dire liberale o se si preferisce garantista della posizione dell'ente, appare più significativo se inquadrato in un discorso sulle fonti proteso a metterne in risalto il momento prestatuale e la vigenza di fonti non scritte nel sistema normativo. In questo, le riflessioni del F. sembrano aver assimilato profondamente gli sviluppi della cultura giuridica italiana di quegli anni, che proprio sulla relazione tra momento pregiuridico e ordinamento positivo affrontano il mutamento civile e fondano i propri sistemi teorici. Da C. Fadda a G. Giorgi e a F. Ferrara, da V. Miceli a S. Romano, questione delle fonti e questione delle persone giuridiche e dei centri d'interesse collettivo scandiscono le riflessioni della cultura giuridica, dalla teoria generale sul metodo, al diritto civile, costituzionale, amministrativo (cui pure s'interessò il F.: si pensi al suo La legislazione bellica in relazione al diritto pubblico preesistente ed alle future riforme, in Rivdi diritto pubblico, X [1918], I, pp. 345-396, saggio particolarmente attento alla fisionomia delle persone giuridiche pubbliche).
Nel 1901 il F., classificato promuovibile a grado superiore, fu nominato vicepresidente del tribunale di Milano; nel 1902 consigliere presso la corte d'appello di Messina, dove la situazione politica richiedeva magistrati che riscuotessero la piena fiducia del governo. Un anno dopo venne trasferito alla corte d'appello di Napoli, dove dal dicembre del 1907 fu presidente del tribunale. Nel 1909 tentò la competizione elettorale nel collegio di Muro Lucano, ma senza esito, e forse senza eccessivo impegno, avendo egli richiesto per la campagna un permesso di soli dieci giorni.
Sono gli anni in cui vide la luce quella che fra le monografie del F. conoscerà maggior diffusione, dedicata alle responsabilità precontrattuali (Dei periodi precontrattuali e della loro esatta costruzione scientifica, Napoli 1906; la monografia ebbe una seconda edizione, Roma 1918). La prossimità del F. alle prospettive della pandettistica, che emerge pienamente in quella che è forse la maggiore delle sue opere, non lo allontana però da una riflessione sulla problematica delle fonti, che anzi sembra caratterizzare sempre più i suoi scritti.
Di particolare interesse a questo proposito è un saggio del 1909 (Fondamento giuridico della responsabilità in tema di trattative contrattuali, in ArchgiurFilippo Serafini, LXXXII [1909], pp. 128-150) che poi sarà sostanzialmente incluso nella seconda edizione della monografia sui periodi precontrattuali (Dei periodi precontrattuali e della loro esatta costruzione scientifica, Roma 1918, pp. 86-116), in occasione del lavoro dedicato nel 1908 da R. Saleilles sulla Revue trimestrelle de droit civil alla monografia del 1906: le stesse ragioni che muovono il F. ad interessarsi alla materia delle responsabilità precontrattuali e ad aderire all'ipotesi d'una loro piena esistenza - gli interessi economici e commerciali di frequente lesi dall'incerta disciplina delle trattative preparatorie del contratto (Fondamento giuridico, cit., p. 129) - mostrano con estrema chiarezza il suo temperamento scientifico, incline a temperare l'animo del giurista con l'esperienza del magistrato e viceversa.
Il breve saggio del 1909, nel suo complesso, si rivela nella sua interezza concentrato su questioni di teoria delle fonti. Anzitutto, in assenza di punti di riferimento precisi, il F. afferma di avere elaborato le sue riflessioni in materia di responsabilità precontrattuali a partire dai principi generali del diritto. Ma il suo intento è sfuggire a un uso arbitrario degli strumenti della buona fede e soprattutto dell'aequitas: questa infatti è nozione relativa e variabile, il che è confortato dall'indeterminatezza che aveva caratterizzato il concetto di aequitas adoperato dal legislatore. Per il F., al contrario, la nozione di aequitas è riformulabile secondo criteri più fermi, così da poter guidare il lavoro dell'interprete: essa "non è livellazione ... ma proporzionalità ... eguaglianza proporzionale di trattamento giuridico è l'aequitas nella sua essenza e nella sua idealità", e in quanto "proporzionalità" racchiude il concetto di "relatività".
Lo sguardo al diritto romano come fondamento dei principi generali, "non come legislazione sussidiariamente in vigore, ma come elemento suppletivo, in quanto abbia informato i principali istituti di diritto privato moderno nelle connessioni fondamentali"; il ruolo di adattamento degli istituti "al progressivo svolgimento delle scienze giuridiche" attribuito all'interpretazione scientifica; la base "storica" e "giuridica" della questione dei principi generali; il riferimento al "diritto storico" questi, per il F., i lineamenti di una corretta teoria dei principi generali. Principi che - di fronte "alla realtà e alla grandezza del movimento economico, sociale e giuridico del mondo moderno" -arrivano a modificarsi affievolendosi e vedendone sopraggiungere di nuovi. Il F. li classifica in tre gruppi: uno è a fondamento dell'ordinamento giuridico particolare, un secondo è relativo ad ogni ordinamento positivo e riguarda "la natura umana" medesima, un terzo raggruppa quei principi che "presiedono al movimento economico e sociale dei rapporti e delle attività collettive e individuali", tendendo a valicare i confini politici con l'espandersi dei mercati: tanto che "nel movimento capitalistico e industriale i principi generali sono conformi alla natura dei rapporti e degli interessi capitalistici e generali". Il F. è consapevole della difformità, e anzi del contrasto fra questa lettura dei principi generali e quella dei compilatori del codice, ma cionondimeno è dai principi generali così concepiti che fa discendere la sua costruzione teorica delle responsabilità precontrattuali, prodotte semplicemente "dalla volontà del trattante alla preparazione e alla elaborazione del disegno del contratto e dalla volontaria distruzione di un valore, quale che sia, formatosi ed acquisito all'altra parte" (ibid., pp. 129-149).
La centralità della questione delle fonti torna in un'altra monografia del F., interamente dedicata alla questione della personalità giuridica, tema in quegli anni ricorrentemente affrontato da chi volesse riflettere sui confini tra l'ordinamento giuridico e la sua realtà esterna. Qui il F. espone la convinzione dell'assoluta autosufficienza delle persone giuridiche sotto il profilo del fondamento giuridico, tanto che la loro esistenza può prescindere dal riconoscimento statale: già in diritto romano (G. Faggella, Ilriconoscimento legale delle corporazioni e delle fondazioniin Giurisprudenza ital., IV [1913], p. 6), particolarmente nei periodi regio e repubblicano, le leggi hanno disciplinato la vita dell'ente corporativo, a suo parere di origine schiettamente privatistica, "ma non l'hanno mai creato". Il modello giuridico, che si limita a indebolirsi in età bizantina, è costruito intorno alla "coalizione di più volontà nella esplicazione di una data attività collettiva e pel conseguimento di uno "scopo comune", pure introducendosi nella loro vita elementi di autarchia e finanche di sovranità vera e propria: così in età basso-medioevale e moderna il fenomeno si espande slegato dalla forma della concessione, e sulla immediata base delle esigenze economiche e civili.
Per il F. la teoria che la concessione rivesta un ruolo sostanziale nel pieno conseguimento della personalità giuridica deriva direttamente dall'errata prospettiva della cosiddetta dottrina della finzione. Mentre al contrario l'autorizzazione statale, sia nella forma della concessione sia in quella del riconoscimento, "o è una vacua dichiarazione teorica dei legislatori e delle dottrine, che non impedisce l'esistenza giuridica delle associazioni e delle fondazioni ... o si riduce a un precetto proibitivo di qualche manifestazione di questi enti, e ha sempre carattere negativo". Il F. reputa che tutte le più diffuse prospettive sulla personalità giuridica sopravvalutino enormemente il ruolo dello Stato nella sua costituzione. La fonte del problema per il magistrato lucano è radicale e risiede nelle costruzioni teoriche del soggetto di diritti: "l'ordinamento giuridico è una delle fonti da cui scaturiscono i diritti subbiettivi, ma non l'unica, perché vi sono diritti subbiettivi che sovrastano a qualunque ordinamento giuridico ed hanno la loro radice nella personalità umana e nei suoi fini". La volontà non è il diritto subbiettivo, ne è lo strumento, che si muove sulla base dell'interesse "economico e morale", il quale dà "contenuto obbiettivo ai singoli diritti". L'ordinamento giuridico è "l'ambiente in cui la persona svolge la sua attività", della quale il diritto subbiettivo "costituisce una esplicazione e una obbiettivizzazione ... nel mondo esterno" rispetto alla quale il diritto in senso obbiettivo è solo fonte di garanzie che potrebbero anche venir meno senza per questo ledere l'essenza del diritto soggettivo come tale: il diritto obbiettivo "permette e protegge l'esplicazione dell'attività umana", e con essa dei diritti soggettivi, ma a questi non è essenziale. Ed è proprio unicamente quest'attività, quella degli associati, a costituire per il F. il vero ed unico sostrato della corporazione, mentre in parallelo un'"attività autonoma elevata dal fondatore a soggetto di diritti a sé" è l'"essenza" della fondazione. La funzione dell'ordinamento giuridico è esclusivamente negativa, fondata soltanto su di una "potestas prohibendi": l'art. 2 del Codice civile risente della teoria dominante della finzione, ma non per questo il nostro diritto positivo nega l'attività dell'ente che non abbia adempiuto ad ogni forma prevista: "per l'esistenza e la vitalità", continua il F., bastano i requisiti essenziali, come nel caso di società irregolari, alle quali va attribuita una piena personalità, che l'inosservanza delle forme relative alla costituzione delle società commerciali non mette in discussione. Sono essenziali solo l'atto costitutivo o il contratto societario (art. 1697 del Codice civile), con la costituzione di un fondo sociale, la divisione dei guadagni fra i soci, l'impiego dei fondi societari in atti di commercio: non la scrittura, né le forme di pubblicità (ibid., pp. 8-41).
Porre l'atto di volontà a fondamento unico della personalità giuridica consentirà dunque al F. di ammettere la personalità delle associazioni in partecipazione "malgrado l'insegnamento unanime della dottrina e malgrado le esplicite dichiarazioni del legislatore" (Dell'associazione in partecipazione, Milano 1924, p. 846) purché vi sia un atto di volontà dell'associante e degli associati diretto a costituire in ente autonomo "l'attività dell'associazione come tale": per il F. qualsivoglia norma di legge che non vieti espressamente "l'esistenza di un'attività autonoma" non ne può impedire la nascita, la vita e l'attività di fronte a terzi consapevoli (ibid.).
Dal 1909 al 1917 il F. trascorse un secondo periodo a Roma, dove fu consigliere presso la corte d'appello; nel 1915 conseguì la libera docenza in diritto civile presso l'ateneo romano, con una valutazione che sottolineò l'amplissimo spettro disciplinare dei suoi interessi e dei suoi contributi scientifici. Nel '17 fu nominato procuratore generale presso la corte d'appello di Trani e dal '21 fu componente del Consiglio superiore della magistratura.
Lasciò Trani nel '22, a quanto sembra anche a seguito delle gravi tensioni politiche della zona: i disordini raggiunsero l'apice il 25 sett. 1921 con l'assassinio del deputato socialista G. Di Vagno. Che la situazione abbia avuto conseguenze per il F. risulta dal testo di una lettera di I. Bonomi al ministro di Grazia e Giustizia G. Rodinò in data 15 ott. 1921, nella quale si fa cenno ad una commissione di deputati socialisti pugliesi, i quali avrebbero richiesto a Trani un procuratore generale "che dia maggior prova di energia" (Arch. centrale dello Stato, MinGrazia e Giustizia, fasc. 470-83). Nei confronti del F. non viene però mosso dalla stampa socialista alcun rilievo in ordine a simpatie per i fasci di combattimento, e appare significativo che l'accusa di copertura delle violenze fasciste per le vicende in questione non coinvolga la magistratura (cfr. La benemerita aiuta gli assassini, in Avanti!, 5 ott. 1921, p. 1). E va ugualmente considerato che il fratello Manlio, già interventista, ebbe fama di antifascista almeno dalla seconda metà degli anni Venti.
Dopo un breve periodo trascorso come procuratore generale presso la corte di cassazione di Palermo, il F. chiuse la sua carriera di magistrato come presidente delle cassazione di Napoli, carica che lasciò nel 1923 per trasferirsi, in pensione, a Roma (si veda Arch. centrale dello Stato, MinGrazia e Giustiziafasc. 470-83 cit.).
A conclusione d'una carriera di magistrato e giurista stanno le riflessioni ai margini della teoria generale del diritto che nel 1933 videro luce sotto forma d'un breve saggio intitolato La vera essenza del diritto positivo, in Archivio giuridico Filippo Serafini, s. 4, XXV (1933), pp. 54-82.
Qui il taglio storiografico dell'argomentazione mette in luce le matrici romanistiche delle riflessioni del F., come la sua attenzione ad un autore come A. Solmi, più volte citato, o ad alcune pagine crociane su Vico. Ma soprattutto, qui più compiutamente che prima sono tratte le conseguenze dell'avvertita inesaustività, per il magistrato e studioso del diritto civile e commerciale, di quelle prospettive sulla teoria delle fonti improntate a criteri formalistici. Attenzione storiografica e sociologica collaborano a produrre un esempio del percorso che in quegli anni aveva spinto e spingeva la cultura giuridica italiana a valicare i confini della riflessione orlandiana e pandettistica.
Per il F. le variabili su cui articolare l'esame degli elementi produttivi del diritto positivo sono numerose, utili anche ai fini d'una consapevole opera d'interpretazione: "elementi originari", "individuali e collettivi", "tradizionali e storici", "sociali", "economici", "morali e intellettuali". Alla base di questi due categorie: quella di "attività" e quella di "forza" o complesso di forze. Storiograficamente, per il F. la forza è fonte primaria del diritto negli ordinamenti più primevi, con riferimento alla "società eroica" vichiana, ed è tratto o individuale o caratteristico di un "aggregato individuale predominante". Il diritto positivo, al di là delle procedure di elaborazione delle norme, non è che "l'obbiettivizzazione" di una "forza complessa" ed "organica". "Cultura", "costumi", religione non sono che elementi, mai unici e mai singolarmente dominanti, del "complesso armonico" nel quale si manifestano le forze in campo, insieme coeso che si sviluppa in una "espansione" e "operosità dominatrice". Nelle varie fasi del diritto commerciale, nelle esperienze giuridiche dell'alto e del basso Medioevo, la pluralità dei "raggruppamenti di forze" e la loro "lotta", il conflitto anche interno a un medesimo insieme e la tensione all'autonomia fondano lo sviluppo del diritto positivo: a fronte sta quell'"elemento formale" che ha acquistato sempre maggior rilievo, sino all'età contemporanea, quando "talvolta diventa esuberante, superfluo, in più parti ingombrante", perdendo la lucidità e la sintesi delle "antiche leggi" che "solamente in una proposizione o in un comando obbiettivavano un atto di forza". E nell'accento sul primato e sul valore giuridico delle "attività" civili l'opera del F. si collega a quell'elaborazione del nuovo codice civile che segna la cultura giuridica degli anni Trenta.
Il F. morì a Roma il 14 apr. 1939.
di Carlo Bersani - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

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