Segno negativo per il PIL (-0,3%) quest’anno e l’effetto si sentirà anche sugli assegni delle pensioni, che verranno tagliati in maniera consistente. È il risultato dell’applicazione del metodo contributivo e della rivalutazione dei montanti adottati con la Riforma delle Pensioni Fornero (Legge 214/2011) con la quale dal 2011 si è detto definitivamente addio al metodo retributivo. A questa situazione fa da contraltare quella delle pensioni d’oro, salvaguardate da una misteriosa sparizione del comma che stabiliva un tetto massimo per l’assegno rispetto al valore dell’ultimo stipendio.
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PENSIONI SVALUTATE
Il metodo contributivo lega l’ammontare della pensione al totale di contributi versati durante la vita lavorativa, in più l’assegno pensionistico si calcola sulla base del tasso di capitalizzazione. La rivalutazione dei montanti contributivi viene calcolata alla fine dell’anno in rapporto al Prodotto Interno Lordo (PIL) valutato sulla base dei dati ISTAT degli ultimi cinque anni. Per arrivare all’importo definitivo della pensione, il tutto deve poi essere moltiplicato per il coefficiente di trasformazione, che dipende invece dalle aspettative di vita.
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Dal 2009 ad oggi, però, si è assistito acinque anni di crisi economica, il tasso di capitalizzazione ha assunto così un valore negativo di -0,1927%, andando a causare una pesante svalutazione delle pensioniche non migliorerà di molto nei prossimi anni, viste le previsioni sul PIL: +0,5% nel 2015 e +1% nel 2016. Una situazione decisamente dura per i pensionati, il cui potere d’acquisto dal 2009 è crollato del -4%.
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PENSIONI D’ORO
Diversa la posizione delle pensioni d’oro, sulle quali il Codacons denuncia il mistero della sparizione della clausola di salvaguardia contenuta nella Legge Fornero, che fissava un tetto alle pensioni più ricche. Più in particolare la Legge 214/2011 prevedeva che dal 1° gennaio 2012 i nuovi contributi dei dipendenti per i quali il calcolo della pensione fosse stato effettuato tutto col vecchio sistema retributivo, perché avevano già più di 18 anni di anzianità al momento della Riforma delle Pensioni Dini del 1995, dovevano essere calcolati con il sistema contributivo.
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Il Codacons spiega:
«All’art. 24 infatti si stabiliva che, a partire dal primo gennaio 2012, i lavoratori che pur avendo raggiunto i 40 anni di anzianità decidevano di rimanere in servizio fino ai 70 o ai 75 anni, avrebbero percepito una pensione non superiore all’80% del valore dell’ultimo stipendio».
La sparizione di questa clausola va ad abolire il tetto per le pensioni più alte e avrà come conseguenza:
«Che ora circa 160.000 lavoratori che hanno già raggiunto i 40 anni di anzianità possono contare su un incremento progressivo della pensione, il cui importo sarà addirittura superiore a quello dell’ultimo stipendio percepito. Un danno per la collettività stimato in 2,6 miliardi di euro in 10 anni».
Si parla di vitalizi superiori all‘ultima busta paga fino al +115%. Per questo il Codacons ha chiesto alla Procura di Roma, alla Corte dei Conti e al Tribunale dei Ministri di:
«Aprire una indagine per accertare la causa della cancellazione di tale norma dalla Legge 214 del 2011, e verificare la sussistenza di fattispecie penalmente rilevanti con particolare riguardo allo sperpero di risorse pubbliche a danno della collettività».
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«All’art. 24 infatti si stabiliva che, a partire dal primo gennaio 2012, i lavoratori che pur avendo raggiunto i 40 anni di anzianità decidevano di rimanere in servizio fino ai 70 o ai 75 anni, avrebbero percepito una pensione non superiore all’80% del valore dell’ultimo stipendio».
«Che ora circa 160.000 lavoratori che hanno già raggiunto i 40 anni di anzianità possono contare su un incremento progressivo della pensione, il cui importo sarà addirittura superiore a quello dell’ultimo stipendio percepito. Un danno per la collettività stimato in 2,6 miliardi di euro in 10 anni».
«Aprire una indagine per accertare la causa della cancellazione di tale norma dalla Legge 214 del 2011, e verificare la sussistenza di fattispecie penalmente rilevanti con particolare riguardo allo sperpero di risorse pubbliche a danno della collettività».
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