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martedì 17 novembre 2020

IL FONDAMENTALISMO DELLE PANCE

 

Vi è tutta una storia delle pance singole o a convegno, in diverse guise e nelle diverse epoche. Le pance hanno tenuto comportamenti consoni alla loro importanza, al grado di appartenenza, e di rispetto alla capacità d’introito e di digestione. Si sono aperte alle speranze di tavole principesche, si sono pronunciate nel prediligere i cibi e le bevande, si sono gonfiate come otri per l’ingordigia, sono rientrate per privazioni e penuria, si sono “fatte capanna” nelle poche occasioni mangerecce, ospiti del ricco e del massaro, al momento in cui occorreva fare onore alle mense e a chi con prodiga cortesia le aveva invitate e stimolate con offerte abbondanti e prelibate di brodi, carni, paste asciutte, prosciutti, carni cotte al sugo e arrosto …

Gastrolatria si definì questa religione: adorazione della pancia, così come si esprime Honoré de Balzac[1].

Caldaie di bollito e di maccheroni si fanno versare nei caccavi grandi e dei quali con notevoli cucchiai si versano nelle scodelle; tavole ingombre di vasellame e foglie verdi di sedani e finocchi in pignate, scafaree e brocche d’acqua, vini in caraffe.

Vi sono state pance, espressioni di potenza, di ricchezza, pance rivestite di panciotti, decorati di catene d’oro e d’orologi con rubini, pance di “don”, pance di baroni, di fattori ed amministratori, pance d’agrari, di senatori e d’uomini di potere e di governo, pance nutrite dalle cariche e dagli onori, pance autorevoli ed autoritarie ed alle quali ogni carica portava lustro e un grado in più di protuberanza, pance nude per la povertà senza pudore e senza ritegno, tra camicie sbrindellate e calzoni a strappi o a rattoppi con le tasche penzoloni di “stozze” di pane duro, le pance sottoproletarie e le pance vagabonde.

Esse ingurgitavano, quando potevano, tonnellate d’alimenti, di minestre, di formaggi a fette, pentoloni di brodo. Ettolitri di vino sono stati ingeriti, tracannati attraverso gole ed esofàgi. Il tutto defecato nelle crepe di discariche abusive, dietro le siepi e fuori la porta del paese.

Ed è proprio la storia delle pance che ci porta inevitabilmente a considerare quel mosaico del sapore che ci deriva dalle più svariate e strane origini contadine, da quella varietà incontrollabile di gruppi sociali, d’etnie, di caratteri ed abitudini di “genealogie dialettali” e di culture, di campanili, di montagna e di pianura all’interno delle quali, la tradizione privata e familiare può aver “innestato imprevedibili varianti”.

Misteriosi labirinti fisiologici, oscuri meandri, processi enzimatici e fermentativi che “sovraintendono alla corporalità e che s’inseriscono nella nuova cultura del corpo ritrovato”, strettamente collegati alle pance degli uomini e degli animali, in questo consiste la ricerca della comunione tra processi digestionali e ingestionali, delle metamorfosi stagionali, delle feste e fatiche agrarie e delle virtù extragrarie, terapeutiche, nascoste nelle erbe e nello sterco, secondo le liturgie, i riti della religione tellurica inferia e genitale, gastroenterica e viscerale.

Fagioli, rape, cipolle, cicorie di campo e patate, nutrimento di sempre, regime dietetico vegetale. Perciò Bertoldo si ammala fino a morirne, quando, costretto ad abbandonare il suo usus, dovrà mangiare alla mensa dei “barbari carnivori”, e masticare i “carnumi fradici, sanguinolenti e maledetti di gente che non coltivava la terra e che era dedita alla caccia crudele d’animali e d’uomini”. Si spezza in lui quel cordone ombelicale che lo teneva legato all’umido odorante della terra, al mondo oscuro e sotterraneo dove maturano in silenzio i bulbi dell’aglio e della cipolla, le radici del “rafano”, le patate e le bietole.

Si snodano così le vicende dei pomi di terra, “convolvolus batatas, ortaggi da tuberi, topinambur, ortaggi da radice carnosa, barbabietole, beta vulgaris, barba forte, barba di becco, barba di prete, carote e pastinache, ortaggi e ramolacci, raperonzoli, scorzanera, porri e scalogne; ortaggi ancora da foglie, da fusti e da fiori, acetosella, agretto, cardi, cerfogli, borracina, crescione, finocchio, indivia, prezzemolo, radicchio, spinaci, valerianella; ortaggi da frutta e da semi, cetriolo, cocomero, coriandolo, melanzane, popone e zucca. È qui che si curavano le digestioni lente o quelle eruttanti, le scorregge e le grandi “pippiate”, gli indugi all’ombra dei noci, nelle canicole e negli intermezzi delle mietiture e dei lavori di stagione.

[1] “La digestione costituisce una lotta interiore che, presso i gastrolati, equivale ai più alti godimenti dell’amore”.

DI LUCIO TUFANO IL 17/11/2020

FONTE Talenti Lucani-Passaggio a Sud

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