La corruzione amministrativa, al pari di qualsiasi altro fenomeno sociale, appartiene alla storia dell’uomo, e al diritto è sempre spettato il compito di provare a reprimerla e, in seconda battuta, prevenirla. In Italia, la corruzione amministrativa è un fenomeno che presenta una certa rilevanza. I luoghi comuni sulla “familiarità” del popolo italiano e delle sue amministrazioni pubbliche con le dinamiche corruttive abbondano, e molte volte sono frutto di esagerate e ingiustificate enfatizzazioni di presunte caratteristiche o abitudini. Alcune volte, però, dati più o meno ufficiali e oggettivi registrano, in maniera preoccupante, il diffondersi di pratiche illecite nello svolgimento dei compiti pubblici. Si prenda, ad esempio, il Corruption Perceptions Index per il 2014, pubblicato recentemente. Come ogni anno, oramai dal 1995, un’organizzazione non governativa, la Transparency International, registra il livello di corruzione percepita in tutti i paesi del mondo. Rispetto agli anni scorsi, l’Italia non solo è peggiorata, ma presenta un punteggio ben al di sotto della media europea e della sufficienza, collocandosi, infatti, al 69° posto con Senegal, Romania e Bulgaria. Sono dati che, come a tutti noto, hanno un notevole impatto a livello mediatico, sull’opinione pubblica, a proposito della credibilità delle istituzioni e delle economie dei singoli paesi di riferimento. Che l’Italia non goda di ottima reputazione sotto il profilo del rispetto dei principi di etica pubblica non è una novità. Certo, non è solo un male italiano. Sia ben chiaro. Non si vuole in questa sede sostenere in maniera assertiva che la pubblica amministrazione in Italia sia stata sempre inefficiente e profondamente corrotta; che esista un “lato oscuro” del settore pubblico che ha sempre contrastato e azzerato gli unici criteri che dovrebbero guidarne l’azione, ossia l’imparzialità ed il buon andamento. Anzi. A ben vedere, non solo non sono mancati nei percorsi evolutivi delle istituzioni momenti in cui gli impiegati pubblici hanno dato prove di alte virtù, ma, come ricordato, tra gli impiegati pubblici «gli onesti sono una larga maggioranza». Rimane, però, un dato di fatto: gli episodi di corruzione amministrativa sono molto diffusi; l’opinione più scontata, anche all’estero, sull’amministrazione italiana è che non sia ispirata da forti virtù; la corruzione appare, a volte, non come anomalia ma come costante del sistema. Sulle cause di tale situazione si è molto discusso e si continua a discutere. Non è soltanto l’effetto di una mancanza di «noblesse d’Etat», come la chiama Sabino Cassese, ossia di un corpo professionale di pubblici amministratori selezionati per merito, qualificati e adeguatamente formati, indipendenti e non assoggettati al potere politico, non intrisi di «familismo amorale», tutte condizioni ben lontane da quelle che caratterizzano la pubblica amministrazione italiana. Molto è dovuto anche ad alcuni caratteri che sono stati dati alla pubblica amministrazione e anche alla qualità e sovrabbondanza delle leggi che ne regolano il funzionamento, le quali hanno prodotto un effetto di – sono sempre parole di Cassese - «giuridicità debole», fatta di norme spesso derogabili, disposizioni negoziabili tra amministrati e amministratori, regole applicabili con ampia discrezionalità... (segue)
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